“L’etica medica non può spingere la prudenza che sempre vige in campo sanitario al punto da impedire l’assistenza a una larga parte della popolazione che si ammala e muore a causa del fumo prodotto dalla combustione del tabacco”. Queste le conclusioni di un articolo pubblicato sull’HSOA Journal of Community Medicine and Public Health Care, dal titolo “Can You Not Reduce Risk in the Fight Against Smoking?” (Can You Not Reduce Risk in the Fight Against Smoking?). Gli autori dell’articolo sono Fabio Beatrice, Direttore Emerito del Dipartimento di Otorinolaringoiatria e Direttore del Moher dell’Ospedale San Giovanni Bosco di Torino, Andrea Albera della Facoltà di Scienze Chirurgiche dell’Università di Torino, e il ricercatore Johan Rossi Mason.
Nell’introduzione, gli autori spiegano che il fumo è uno dei principali fattori di rischio per il cancro e per le malattie cardiovascolari e polmonari. “Questo da solo – e lo chiariscono – uccide più persone dell’alcol, della droga, degli incidenti stradali, degli omicidi e dei suicidi messi insieme”. Secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità, più di 8 milioni di persone muoiono ogni anno come diretta conseguenza del fumo, con altri 1,2 milioni che muoiono a causa del fumo passivo. Il fumo uccide 700.000 persone all’anno nell’UE e 93.000 in Italia, 43.000 delle quali per tumori causati dal fumo. Gli interventi normativi volti a scoraggiare il fumo si sono rivelati inefficaci di fronte a questi dati preoccupanti. Secondo gli ultimi dati diffusi dall’Istituto Superiore di Sanità, il numero dei fumatori nel nostro Paese è addirittura aumentato di 800.000 unità lo scorso anno. “Dati – Articoli di revisione – Ottenere l’attenzione” .
Cosa dovrei fare? Partendo dalla definizione del fumo come una “malattia cronica recidivante condizionata alla dipendenza da nicotina”, Beatrice et al hanno sottolineato che l’esperienza degli Stati Uniti dimostra che il divieto di fumare è inefficace. Anche le politiche fiscali oi divieti di consumo sono riusciti a frenare questo fenomeno, ma non hanno affrontato il problema dei forti fumatori, quelli che non vogliono o non riescono a smettere. Ne è la prova il centro antifumo dell’Ospedale San Giovanni Bosco di Torino che, pur avendo ottenuto risultati positivi superiori alla media nazionale, ha sempre operato con un numero ridotto di persone. “Chi fallisce – spiega l’articolo – torna al consumo originario di sigarette, dobbiamo chiederci cosa fare in queste situazioni”. Secondo gli autori, la risposta potrebbe essere la riduzione del danno offerta dalle sigarette elettroniche e da altri prodotti che rilasciano nicotina senza bruciare tabacco, apparentemente la principale causa di malattie legate al fumo. “Certamente – commentano gli autori – il consumo di nicotina, caratterizzato da una marcata riduzione della tossicità da bruciore, pur non essendo una soluzione alla dipendenza, è un aiuto importante per i forti fumatori che non riescono a smettere”. La nicotina, d’altra parte, viene utilizzata in molte forme (gomma, cerotto, spray, inalatore, compressa) per aiutare a smettere di fumare, aumentando il tasso di successo dell’utente. Un recente aggiornamento della Cochrane E-cigarette Review ha concluso che era altamente certo che le sigarette elettroniche fossero più efficaci di questi strumenti, mentre un’altra revisione di Karl Fagerström ha mostrato che la riduzione del fumo è stata più rapida nei paesi in cui l’adozione ha danneggiato.
L’articolo ha anche affrontato il cosiddetto “effetto gateway” secondo cui le sigarette elettroniche possono indurre i giovani a fumare, sottolineando che si tratta di una teoria che non è mai stata scientificamente provata. È stato spiegato che gli ultimi dati mostrano che i consumatori di sigarette elettroniche sono più frequentemente adolescenti che già fumano o avrebbero fumato e che le sigarette elettroniche hanno un effetto positivo su di loro, tenendoli lontani dal tabacco bruciato. Un vantaggio è che lo svapo riduce la tossicità del fumo del 95%, secondo le stime di Public Health England (ora Office for Health Improvement and Disparities).
Insomma, sarebbe ora che le istituzioni sanitarie e i governi si aprissero alla riduzione del danno. “Ci auguriamo che, sulla base di evidenze scientifiche – concludono infatti Fabio Beatrice e gli altri autori – i tempi siano maturi per una franca riflessione su questi aspetti, tenendo presente che la prevenzione dell`iniziazione dell`uso del tabacco non ha nulla a che fare con le politiche per aiutare i fumatori resistenti alla cessazione. Tutto questo richiederebbe un grande sforzo collettivo e istituzionale, networking, formazione di alleanze e soprattutto bisogna ricordare che, laddove non può essere garantita la guarigione al paziente, bisogna intervenire curando e aiutando. Forse recuperare alcuni valori della scienza medica potrebbe aiutare di più ad affrontare le complesse questioni del fumo. Pensiamo che questo possa accadere”.